Opere d'Arte della Chiesa

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Opere Pittoriche

 

 

1. Passione di Cristo

Intarsio (cm 50x50)

Disegno: Emilio Paciotti

Tarsio: Amleto Duranti

7. Cenacolo

Arazzo (cm 200x150)

Autore ignoto, sec. XX

 

2. Madonna del Rosario con le storie della Vergine e di Gesù

Olio su tela (cm 176x249)

Ernst Van Schaych (Utrecht 1567, Castelfidardo 1631)

8. Madonna col Bambino e Sant'Antonino

Olio su tela (cm 232x330)

Giuseppe Cherubini (Ancona 1867, Venezia 1960)

 

3. San Michele Arcangelo uccide un demone

Olio su tavola (cm 60x80)

Autore ignoto, sec. XX

9. San Giuseppe e San Spiridone con anime purganti

Olio su tela (cm 180x306)

 Autore ignoto, sec. XVII

 

4. Traslazione della Santa Casa con San Carlo Borromeo e Sant’Antonino(?)

Olio su tela (cm 110x211)

Autore ignoto, sec. XVIII

10. Traslazione della Santa Casa

Olio su tela (cm 169x217)

Autore ignoto, sec. XVIII

 

5. Deposizione

Olio su tela (cm 170x247)

Ercole Ramazzani (Arcevia 1535, Ancona 1598)

11. Battesimo di Gesù

Affresco (cm 180x280)

Giuseppe Caprari (Osimo 1895 – 1959)

 

6. Mosè fa scaturire l'acqua dalle rocce del deserto

Olio su tela (cm 210x102)

Autore ignoto, sec. XVII

 

 

 

Fonti:

Mediateca Comunale Gualtiero Giamagli "Chiesa Parrocchiale di Sant'Antonino Martire", Polverigi 9 maggio 2010, p.5

Mediateca Comunale Gualtiero Giamagli "Guida della Chiesa Parrocchiale di Sant'Antonino Martire", 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Passione di Cristo (1995 ca)

 Intarsio (cm 40x60)

  Disegno: Emilio Paciotti

  Tarsio: Amleto Duranti

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2. Madonna del rosario con le storie della Vergine e di Gesù

Olio su tela (cm 176x249)

Ernst Van Schayck (Utrecht 1567, Castelfidardo 1631 ca.)

La tela, firmata e datata, è una delle opere che Ernst Van Schayck (latinizzato in Ernestus De Selaichis Flamengus) lasciò nelle Marche e rappresenta la Madonna in trono col Bambino nell’atto di donare una corona del S. Rosario a S. Chiara. La Santa, è attorniata da pie donne, mentre in basso San Francesco si genuflette in preghiera e a sinistra si trova San Damiano con altri due personaggi. Alla Vergine fanno corona due angeli, anch’essi con rosario e rose tra le mani. Il dipinto, che ha la particolarità non solo nordica di circondare il soggetto principale con dei riquadri (in questo caso 15, dedicata i misteri della vita della Vergine e di Gesù) risale al 1606 e quindi al primo periodo, quello camerinese, della misteriosa comparsa del pittore nelle Marche. Successivamente, durante la lunga permanenza a Castelfidardo iniziata nel 1609, De Selaichis dimostrerà di aver imboccato una nuova strada che, pur prestando una particolare attenzione alla “verità delle cose” da far risalire alla sua origine, evidenzia nuove conoscenze della nostra cultura come quella dell’opera di Federico Barocci e della pittura marchigiana manierista e barocca, che lo portano ad esprimersi attraverso una pennellata più larga ed ariosa e colori più brillanti che in precedenza. Rimase, comunque, fedele interprete della cultura e del gusto del suo tempo che ha lasciato significative testimonianze della sua prolifica produzione artistica in tutta la Regione.

L’opera probabilmente voluta dalla Confraternita del S. Rosario agli inizi del XVII per farne la pala del suo altare nell’antica chiesa parrocchiale, fu affidata al De Selaichis, pittore ancora poco conosciuto nelle Marche, che la dipinse aggiungendovi i due personaggi vicini a San Domenico, che forse contribuirono alla spesa.

      

   

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3. San Michele Arcangelo uccide un demone

Olio su tavola (cm 60x80)

 

 

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4. Traslazione della Santa Casa con San Carlo Borromeo e Sant’Antonino(?) (sec. XVIII)

Olio su tela (cm 110x211)

Autore ignoto

Il dipinto della metà del ‘600 rappresenta la Vergine e il bambino sostenuti da quattro angeli assistiti da sei cherubini, durante il trasporto della Santa Casa. In basso a destra San Carlo Borromeo inginocchiato ed a sinistra un santo martire non identificato (Sant’Antonino?), assistiti da due angeli che sostengono la stola e la palma del martirio. In secondo piano un paesaggio con due chiese e sullo sfondo un castello che si erge maestoso contro l’orizzonte.

La tela, la cui composizione è molto complessa. Ricalca uno schema classico della pittura barocca. La superficie del dipinto, infatti, molto allungata in altezza vede i personaggi distribuiti secondo le tre figure geometriche primarie.

Infatti la parte inferiore con i due santi è inscrivibile in un quadrato(nello schema di colore azzurro), il volto dei due santi e della Madonna compongono un triangolo isoscele che si sovrappone nei due personaggi in basso (di colore verde), mentre tutto il complesso della traslazione è inscritto in un elemento circolare composto dagli angeli e dai cherubini (di colore rosa).

È questa una composizione che si ritrova spesso nell’iconografia lauretana ed anche nella più semplice e modesta “traslazione” ottocentesca del dipinto n° 7.

L’opera è realizzata con colori di buona intensità e pervasa da una cultura composita che rivela reminiscenze di modesta ascendenza veneziana; è realizzata con un’iconografia tarda il cui linguaggio pittorico è coerente con la pittura del tempo, così come il panneggio che si adegua agli schemi costruttivi manieristici e barocchi.

Il quadro fu probabilmente ordinato dal beneficio di S. Maria di Loreto che, come si rileva da un catasto del 1740, fu attivo a Polverigi nel XVII e XVIII e proviene dalla demolita chiesa parrocchiale.

      

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5. Deposizione

Olio su tela (cm 170x247)

Ercole Ramazzani (Arcevia 1535, Ancona 1598)

La Deposizione di Polverigi è ritenuta dai critici e dagli studiosi una delle migliori opere di Ercole Ramazzani da Arcevia vissuto tra il 1535 ed il 1598. il dipinto, restaurato nel 1980, rappresenta la deposizione del Cristo posto al centro della scena. Alla sua destra si trovano la Vergine con le Pie Donne e a sinistra un bellissimo San Giovanni Evangelista, affiancato da Nicodemo, che appresta a deporre Gesù nel sarcofago aiutandosi con la bocca e con le braccia. In basso un servo sorregge le gambe appena liberate dai chiodi della croce, mentre la Maddalena è intenta a cospargere le stimmate con l’unguento dell’ampolla appoggiata in terra, vicino al cartello della croce e dalla corona di spine. Sopra in alto Giuseppe d’Arimatea è appena giunto dalla città che si intravede sullo sfondo del Golgota in un tramonto plumbeo squarciato da un lampo di luce.

L’iconografia cristiana è dunque ed interpretata magistralmente in quest’opera, in cui sono le tre le caratteristiche che maggiormente colpiscono l’osservatore: l’originalità e la libertà della composizione diagonale sormontata da tre quadrati, che comprende un elemento triangolare isoscele definito nel servo, dalla Madonna e dall’Evangelista, irreale luminosità della scena, concentrata sulle figure in primo piano e su parte della collina e la drammaticità della situazione, costrutta su una puntuale interpretazione della dinamica figurativa del periodo post-manieristico.

La Deposizione è esemplare per riconoscere la peculiarità dell’autore che confermano l’insolita capacità compositiva, l’esasperata violenza cromatica e quella sostanziale drammaticità che per le disposizioni post-conciliari dovevano svolgere una profonda azione psicologica sui fedeli; ma conferma anche che ci troviamo di fronte ad un pittore anticlassico, interprete molto vivo ed attento alle vicende figurative del suo tempo, aperto alle esperienze che nascono da un misticismo radicato nella coscienza popolare e dotato di una cultura e di un processo creativo di notevole interesse.

Quindicenne, Ramazzani fu allievo di Lorenzo Lotto del quale per tre anni fu garzone di bottega perfezionando i fondamenti della pittura. All’età di diciotto anni si separò dal maestro in modo burrascoso ed iniziò una carriera nella quale riuscì a dimostrare tutto il suo valore. L’artista era dotato di una complessa cultura, alimentata da una personalità sicura e volitiva, formatasi prima alla scuola del lotto e consolidata poi dalla conoscenza del manierismo, di artisti come lo Zuccari, il Tibaldi o il Bellini e, a Roma, di Raffaello, Michelangelo ed El Greco le influenze dei quali si fanno sentire, e molto, nella Deposizione.

Infatti, come dimenticarsi del lotto guardando la Maddalena e il Nicodemo, come non pensare a Raffaello per la figura dell’Evangelista, o a Filippo Bellini per il Cristo e come non riflettere sull’influenza tosco vasariana avendo presenti la composizione, l’atmosfera, i colori, e le forme longilinee?

Come scrive il Chiappini di Sorio “.. nel suo girovagare le Marche, Ramazzani fa tesoro delle esperienze e delle conoscenze acquisite e soprattutto sa interpretare la situazione culturale di quel periodo di Controriforma che lo porta ad essere artista dotato di un’autonomia ed una libertà creativa fuori da ogni regola, sostenuta da una fantasia visionaria e spesso allucinata, evidentemente legata ad un sentimento religioso particolarmente sentito”.

 

   

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6. Mosé fa scaturire l’acqua dal deserto

Olio su tela (cm 210x102)

Autore ignoto (sec. XVII)

Il miracolo biblico di Mose nel deserto è il soggetto di questa complessa composizione realizzata con grande capacità e correttezza da un buon pittore di metà XVII secolo.

Il dipinto è suddiviso in tre parti distinte, al centro si trova Mosè che attraverso l’uso della verga, simbolo del potere, fa scaturire l’acqua dalle rocce del deserto. Sulla sinistra alcuni servi riempiono delle anfore per trasportarle verso il popolo assetato, mentre qualcuno inizia a dissetarsi. Sulla destra, invece, si trovano Aronne e Giosuè ed Hur che si preparano alla battaglia contro gli Amaleciti.

La valutazione del dipinto e la sua attribuzione si rivelano assai difficili per lo stato della tela che abbisogna di un’approfondita ripulitura e di un buon restauro, anche se la plasticità delle figure, i colori brillanti, il panneggio costruito con finezza calligrafica ed in particolare la nobile tipologia del profeta e la sua costruzione iconografica fanno pensare ad un pittore di formazione romana dotato di forte personalità e grande professionalità che conosceva bene i grandi maestri del rinascimento.

 

 

 

In queste immagini quattro chiavi di lettura che permettono una corretta interpretazione dell’opera

1.   La ripulitura elettronica.

 

2.   La composizione, suddivisa in tre nuclei da un asse di simmetria.

 

3.   La definizione dei piani su cui sono poste le figure che definiscono la profondità dell’opera.

 

4.   Gli elementi ricorrenti che definiscono il ritmo compositivo

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7. Cenacolo (1980)

Arazzo (cm 200x150)

Autore ignoto

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8. Sacra Famiglia e Sant'Antonino (1904)

Olio su tela (cm 232x330)

Giuseppe Cherubini (Ancona 1867, Venezia 1960)

La grande pala che domina l’altare maggiore fu affidata dal parroco Don Vincenzo Bianchi all’opera di Giuseppe Cherubini, che la realizzò nel 1904 prima di recarsi a Venezia per proseguire la tradizione dei rapporti culturali tra le Marche e la città lagunare.

Il dipinto rappresenta Sant’Antonino genuflesso, che sulle pendici di una collina nei pressi di una sorgente, ha la visione della Sacra Famiglia circondata da dodici cherubini mentre altri due angeli sorreggono una corona di fiori ed un ramoscello d’ulivo.

Il Santo indica alla Vergine ed al Bambino il paese di Polverigi, illuminato dal sole di mezzo giorno da una posizione riconducibile alla contrada Baiana, da sempre nucleo agricolo del paese.

La composizione del dipinto semplice nelle sua struttura a diagonale, i suoi colori e la pennellata svelta lo fanno appartenere al neoclassicismo allora dominante in Italia anche se si intravedono già alcune spinte innovatrici che porteranno al movimento “in Arte Libertas”.

All’inizio del secolo l’opera del Cherubini si inserisce ancora nel filone dei pittori storici come il Bigioli ed il Podesti di cui fu allievo, ma successivamente ha contribuito al quel rinnovamento culturale che nei primi anni trenta partecipò allo sviluppo della cultura europea alla quale i pittori marchigiani, anche attraverso l’esodo, diedero un contributo determinante. Il suo lavoro infine, prima della morte avvenuta a novantatre anni nel 1960, si spense in un’arte di maniera dedicata all’amata Venezia come lirico cantore di Piazza San Marco.

 

Nella figura a lato la riproduzione della pala, sopra, lo schema compositivo impostato sulla diagonale, che nella sua semplicità fa assumere all’opera un valore iconico molto significativo.

        

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9. San Giuseppe, San Spiridione e le anime purganti (sec. XVII)

Olio su tela (cm 180x306)

Autore ignoto

Opera di un buon pittore proto-barocco, forse uno del gruppo dei “contro-riformati” (Nucci, Damiani, Giorgetti?) attivo nelle marche nella seconda metà del XVII, proveniente dalla demolita chiesa si San Spiridione di Ancona.

La tela, di notevole valore pittorico risente di influenze e ascendenze dell’ultimo Lilli. Si tratta di un dipinto complesso per la sua composizione realizzata in due momenti, le anime purganti in basso, il gruppo dei santi in alto disposti secondo un’iconografica circolare di grande tensione per l’impennata di spiritualità che la pervade.

Il quadro rappresenta San Spiridione in abiti vescovili e San Giuseppe con il bastone infiorato che, attraverso la Vergine, intercedono presso il Signore a favore delle anime purganti in un turbinio di panneggi, di forme e di colori realizzati con uno schema figurativo visionario. In mezzo a loro un giovane allevia le sofferenze versando acqua tra le fiamme.

 

La conoscenza dello schema compositivo di un’opera d’arte è assai importante per comprendere le motivazioni che hanno mosso l’autore nella sua realizzazione. In questo caso, per esempio, il punto focale del dipinto si trova sulla punta dell’indice di San Spiridione che è molto vicino al centro della circonferenza nella quale sono stati posti tutti i personaggi principali dell’opera. La composizione, certamente diagonale è basata sull’asse della croce, riunisce due figure topiche del mondo artistico (cerchio e triangolo) lasciando alle anime purganti la zona inferiore del quadro.

 

 

          

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10. Traslazione della Santa Casa (sec. XVIII/XIX)

Olio su tela (cm 169x217)

Autore ignoto

La tela rappresenta la Madonna col Bambino durante il viaggio di traslazione della Santa Chiesa che è sostenuta dagli angeli ed è assistita da sette cherubini. L’opera, che assomiglia ad un grande ex-voto, è una specie di narrazione visiva che racconta del sacro convoglio sul colle di Loreto subito oltre la costa adriatica che si intravede nella parte bassa. A riva, alcuni personaggi intenti in attività quotidiane come il passeggio, la pesca o l’allestimento del battello salutano e guardano stupiti lo strano trasporto interrompendo per un attimo le loro occupazioni.

Il dipinto è di un autore ignoto, di fine XVIII inizio XIX secolo, che probabilmente non ignorava il neoclassicismo. Anche se la tecnica utilizzata appare assai modesta, una adesione anche inconscia ai principi preromantici che avanzavano nella cultura dell’epoca traspaiono dalla pennellata rapida e dal colore che, pur nella mediocrità espressiva, riflette le caratteristiche di quel periodo.

L’esame della composizione, basata su un quadrato che contiene al centro un triangolo equilatero, appare tuttavia l’elemento più interessante del dipinto tanto da conferirgli una modesta complessità che ha origine dalla superficie circolare del grande fiore al centro del quale si trovano la Vergine e il Bambino.

Anche quest’opera fu probabilmente voluta dal beneficio di S. Maria di Loreto per l’antica parrocchiale e successivamente trasferita nella nuova chiesa.

          

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11. Battesimo di Gesù (1931)

Affresco (cm 180x280)

Giuseppe Caprari (Osimo 1895 – 1959)

 Decorazione a tempera rappresentante il battesimo di Gesù nel Giordano realizzata probabilmente nel 1931 con datazione citata da Mons. Ragnini nella sua Cronistoria quando parla dei lavori di recupero post-terremoto del 1930. Di stile prettamente contemporaneo richiama il Sant’Andrea Avellino del SS. Sacramento e soprattutto la tela con identico soggetto del Duomo di San Donà di Piave di Giuseppe Cherubini.

 

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